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L'Italia è sovrappopolata

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La sovrappopolazione e l'Italia, di Aldo Carpanelli

Autore: Aldo Carpanelli
Data: 16.01.2007

Da un mio intervento del 2 gennaio 2004, ore 13:34, su uno fra i tanti forum ai quali ho partecipato in riferimento a questo tema.
Premesso che non sono un esperto, ho provato a raccogliere e presentare, alla luce delle letture che ho condotto nell’ultimo paio d’anni, alcuni dati semplicemente reperiti sul sito ufficiale dell’ISTAT.

 

APPROCCIO GLOBALE

Nel trattare il punto 1) (rapporto meramente numerico tra la quantità di umani dimoranti su una determinata superficie territoriale e estensione di quella superficie), nel mio post del 31/12/2003 ho seguito un approccio di tipo globale.

L’approccio globale è ottimo per produrre un quadro d’insieme, ma fallisce nel consentire a ciascuno di noi di percepire la gravità della situazione, perché l’enormità delle cifre, oggettivamente lontane da quella che definirei una “scala umana”, non consente una interpretazione immediatamente riconducibile alla nostra esperienza quotidiana. Inoltre, la tentazione di considerare “lontano” un problema presentato come “globale” è sempre molto forte. Anche per queste ragioni è opportuno affrontare la questione del rapporto tra popolazione umana e superficie territoriale da un punto di vista locale.

 

APPROCCIO LOCALE

La superficie globale del territorio italiano, è di 301.268 chilometri quadrati.
La popolazione umana censita ivi residente sfonda ormai il tetto dei 57.844.017 individui [ISTAT 2000].

Come è ovvio, questo dato non comprende gli individui illegalmente dimoranti sul territorio, alias i cosiddetti "clandestini", la presenza dei quali rende imprecise quelle rilevazioni che potrebbero altrimenti avere valenza assoluta. In questo scritto, fingerò che il fenomeno della clandestinità non esista. Ognuno di voi tenga ben presente questa precisazione.

Anche in questo caso, come per la popolazione mondiale, è molto semplice ricavare la quantità di superficie territoriale "lorda" disponibile per ogni abitante: 0,521 ettari (Il valore p ottenuto eseguendo il rapporto Supeficie ÷ Abitanti, prima però è necessario convertire la superficie da km2 ad ettari (Ha) aggiungendo semplicemente due zeri, poi si calcola così: 30.126.800 ÷ 57.844.017 = 0,521 ) [ricordate il dato lordo mondiale: 2,031 ettari pro-capite].

Il dato lordo costituisce già un buon indicatore sullo stato di affollamento "fisico" del nostro territorio, ma non è veramente indicativo della quantità di territorio produttivo a disposizione di ciascuno di noi. Fin dalla terza elementare ci viene insegnato che “l’Italia ha un territorio prevalentemente montuoso”, senza però soffermarsi più di tanto sulle implicazioni di questa apparentemente bucolica affermazione. Una prima implicazione è che la presenza di una così ampia percentuale di territori montuosi, insieme ad altri fattori quale l’urbanizzazione del territorio, abbatte la quantità di terreno produttivo disponibile per ciascuno di noi. La SAU (Superficie Agricola Utilizzata) italiana, nel 2000, era di soli 132.000 chilometri quadrati [ISTAT].

Calcolatrice alla mano, ciò si traduce in 0,228 ettari (13.200.000 ÷ 57.844.017) di terreno agricolo produttivo pro-capite. vale a dire 2.280 m2 (metri quadrati) a testa. Il dato mondiale si attesta, se ben ricordate, sui 2.150 metri quadrati pro-capite.

Già questo dato dovrebbe indurre alla riflessione: ci si sente spesso ricordare che il pianeta è sovrappopolato, ma mai l’Italia viene inclusa tra i Paesi più affollati, neppure nei libri di testo scolastici. Eppure, i dati parrebbero suggerire ben altro...

Già, i dati ... i dati sono del 2000. Da allora, mentre l’incremento dovuto alla natalità interna è divenuto lievemente negativo [valutabile in un calo annuale di circa 20.000 individui], quello dovuto all’immigrazione [regolare] è andato crescendo progressivamente. Come risultato, l’incremento complessivo di popolazione del 2001 è stato di circa 150.000 individui, quello del 2002 di circa 200.000 e quello del 2003 di oltre 300.000 individui [ISTAT]. Non sono riuscito ad individuare dati precisi, ma anche queste indicazioni [approssimate per difetto] consentono di aggiornare la popolazione italiana rispetto al dato del 2000: 58.490.000 individui circa [ancora e sempre approssimati per difetto e senza considerare gli illegali che, in quanto illegali, sfuggono ad ogni tentativo di conteggio]. Questo dato, curiosamente, è alquanto diverso da quello che compare ufficialmente nell’annuario statistico ISTAT del 2003, ove viene riportata una popolazione residente di 57.321.070 individui - addirittura inferiore a quella di 3 anni fa! COM’È POSSIBILE? Probabilmente si tratta di un gioco delle tre carte abilmente condotto giocando sulla differenza di definizione tra “cittadini”, “residenti” e “dimoranti”. Perché? A che scopo?

Inutile sottolineare che, ai fini del nostro discorso, è assolutamente irrilevante lo status giuridico e la provenienza delle persone: ciò che conta è la loro quantità complessiva. 58.490.000 individui circa, appunto.

Che è accaduto alla SAU (Superficie Agricola Utilizzata) nel frattempo? Non sono riuscito a reperire dati più aggiornati di quelli già a mia disposizione. Una semplice osservazione relativa all’ampliamento delle superfici urbanizzate negli ultimi tre anni, sotto gli occhi di chiunque non intenda fingersi cieco, mi induce a credere empiricamente che essa si sia ulteriormente ridotta. Nel dubbio, riterrò la SAU prudenzialmente costante ai livelli del 2000: 13.200.000 ettari.

Ho ancora accanto la mia calcolatrice. Rapportando la popolazione attuale con la vecchia SAU, si ottiene una superficie produttiva utile di 0,225 ettari pro-capite. 2.250 metri quadrati a testa. Dal 2000 ad oggi, abbiamo già perso almeno 30 metri quadrati di superficie produttiva a testa. In soli tre anni e secondo un calcolo molto prudente.

A questo punto, potrebbe venirvi in mente che vaste superfici di territorio collinare e montano anticamente destinate all’agricoltura sono state abbandonate, per cui potreste essere indotti a pensare che sarebbe sufficiente recuperare ai fini agricoli quelle aree per risolvere il problema. Sarebbe effettivamente così, se non si dovessero fare i conti con la situazione idrogeologica del nostro territorio.

La precarietà dei nostri monti è nota. Essa viene attribuita al degrado del territorio conseguente all’abbandono di quelle zone da parte della popolazione che un tempo vi risiedeva. Ciò che ci si guarda bene dal considerare sono le condizioni e lo stile di vita di quegli antichi residenti in rapporto alle nostre abitudini odierne, e gli effetti a lungo termine della loro presenza su quei territori. Il degrado e il dissesto non avvengono a causa dell’abbandono, ma a causa delle attività precedenti a quell’abbandono: nella fattispecie le attività agricole. Se pensiamo ai mezzi che i nostri antenati impiegavano per coltivare i propri piccoli campi sparsi lungo i pendii e li confrontiamo con quelli oggi a nostra disposizione, ci rendiamo conto di due cose: 1) l’agricoltura moderna è molto più aggressiva nei confronti del territorio di quanto non fosse quella antica e 2) la coltivazione in ambienti montani e collinari non può essere neppure lontanamente produttiva quanto quella in ambienti di pianura, mentre una sua pratica di tipo industriale ha come risultato effetti devastanti in termini di erosione e dissesto. Questo taglia la testa al toro: le aree montane e collinari non possono costituire una valvola di sfogo per le nostre esigenze di produzione alimentare. Ma, abbiamo veramente bisogno di una maggiore produzione alimentare? Come la mettiamo con le arance e i pomodori che annualmente vengono distrutti a causa della sovrapproduzione?

Il fatto è che non esiste sovrapproduzione, anzi…
Ancora una volta, l’ISTAT ci aiuta a capire, nonostante i dati siano strutturati secondo un taglio economico e non legato a un approccio di tipo funzionale ai nostri ragionamenti.

I dati relativi alla bilancia agroalimentare italiana del 2001, ci informano che la nostra produzione agricola è sovrabbondante nel caso degli ortaggi, della frutta e del vino, mentre è carente nel caso dei cereali, delle olive, della carne e del pesce, del latte, delle uova, dello zucchero… Complessivamente, il deficit agroalimentare italiano, secondo conti approssimativi e, ancora una volta, estremamente prudenziali, assomma a circa 63.939.000 quintali di derrate. Questo dato è più semplice da comprendere se lo riconduciamo su scala individuale: ognuno di noi necessita di circa 920 kg di prodotti all’anno [2,52 kg al giorno], dei quali 808 derivano dalla produzione interna, e i rimanenti 112 derivano dalle importazioni. Osservate come i 112 kg dei quali siamo carenti rientrino in massima parte tra le categorie di alimenti a maggiore apporto calorico , mentre tra gli 808 kg per i quali possiamo considerarci autosufficienti rientrano una quantità di merci altamente deperibili che, in gran parte, non vengono impiegate per l’alimentazione ma finiscono nella pattumiera. Non penso che ciò vi risulti incredibile, dato che immagino che ben pochi tra voi ingurgitino 2,52 kg di alimenti al giorno! Questo parrebbe lasciar ben sperare, basterebbe tagliare gli sprechi…

E invece no, perché gli sprechi, per quanto riguarda quel particolare tipo di produzione, sono in certa misura fisiologici. Certo, una loro riduzione è possibile con un grande sforzo di ottimizzazione, ma non si può trattare di una riduzione drastica, a causa delle caratteristiche intrinseche del sistema di produzione e distribuzione che, già oggi, risulta favorito dall’impiego di notevoli quantità di conservanti, dalle tecniche di refrigerazione, da mezzi di trasporto efficienti e veloci.

Vi renderete conto che la questione sta diventando tremendamente complicata. Già, perché non abbiamo ancora considerato che l’agricoltura italiana, per la natura della tecnologia impiegata, ha oggigiorno una produttività per unità di superficie veramente strepitosa , in costante crescita da diversi decenni.

Alcuni esempi, scelti a caso tra i dati raccolti dalla FAO:

1961 (q/h) 2002 (q/h) variaz. %
Frumento 19,103 32,320 +69,188%
Mais 32,882 95,597 +190,727%
Fagioli 52,003 88,374 +69,940%
Mele 206,972 363,252 +75,508%
Albicocche 46,154 136,533 +195,821%
... ... ... ...

 

Analizzare dati riferiti ad annate precedenti al 1961, porterebbe agli anni nei quali la cosiddetta Rivoluzione Verde non aveva ancora avuto luogo, e il divario si farebbe ancora più evidente [e comunque, la FAO non riportava quei dati nel sito da me consultato].


Cosa porta a una produzione tanto elevata? La tecnologia e l’impiego dei combustibili fossili, questi ultimi tanto sotto forma di energia quanto sotto forma di fertilizzanti e di pesticidi.

Perché preoccuparsi, allora? La tecnologia, da sempre, va migliorando, per cui la produzione aumenterà ancora, e ancora ...

Non è così, purtroppo. La tecnologia avanza “a balzi” e talora, se le condizioni non sono favorevoli al suo sviluppo, retrocede. Ebbene, stiamo entrando in una fase tutt’altro che favorevole allo sviluppo della tecnologia. Ricordate quanto, nel mio precedente post, ho affermato a proposito della disponibilità di queste particolari risorse: “Quando inizierà il calo della produzione petrolifera [proprio ora, secondo alcuni studiosi, fra non più di 5-10 anni secondo C. Campbell e una folta schiera di altri geologi petroliferi; fra non più di 15-20 anni secondo la IEA], parallelamente alla crescita della domanda determinata dallo sviluppo dei Paesi emergenti, ci troveremo di fronte a seri e repentini problemi non solo di ordine energetico, ma anche di ordine alimentare. La tecnologia non è in grado di sostituirsi alla mera disponibilità di terreno agricolo.”

La nostra agricoltura, privata delle basi tecnologiche e, soprattutto, delle materie prime per implementarle concretamente, si troverebbe costretta a retrocedere verso livelli di produzione per unità di superficie simili a quelli del periodo anteguerra. Chiedete a qualche anziano contadino di vostra conoscenza quali erano i livelli di produzione e il carico di lavoro necessario per ottenerli, e cominciate a preoccuparvi seriamente. Contare sull’alta tecnologia come mezzo di sopravvivenza non è mai un buon modo di procedere.

A questo punto, riconoscendo che la trattazione è ancora incompleta, tralascio temporaneamente una miriade di altri aspetti non meno importanti che potrebbero contribuire a valutare il grado di sovrappopolazione del territorio italiano. Desidero non tediarvi oltre e lasciarvi il tempo di riflettere su quanto esposto fin’ora, a partire dalla superficie agricola pro-capite disponibile per ciascuno di voi, in calo di circa 10 metri quadrati all’anno. Inizia il conto alla rovescia: 2.250… 2.240… 2.230… 2.220…

Auguri di buon anno e, mi raccomando, niente figli maschi...
Anzi, proprio niente figli, se potete!
Checché se ne dica, l’Italia è un Paese sovrappopolato.