Immagine della terra bruciata e sterile
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SOS per la Terra - La festa è finita per tutti - intervista a Giulietto Chiesa

Primo iano di Giulietto Chiesa
Chiesa afferma: "La festa è finita per tutti", SOS terra

 

 

Fonte Originale: Unione Sarda

Candidato in Lettonia, consigliere provinciale a Genova col vecchio Pci, eurodeputato con la lista Di Pietro-Occhetto. La vita del compagno - ex compagno - Giulietto Chiesa è un ribollire perpetuo di svolte. Una sorta di febbre che lo spinge a osservare il mondo con insaziabile curiosità. E la forza, rarissima, di poter guardare in faccia il prossimo senza arrossire. Piemontese, settant’anni, aria da preside buono e inflessibile, è stato un giornalista famoso, anzi famosissimo: corrispondente da Mosca per «L’Unità» e, successivamente (fino al 2000) per «La Stampa», Tg5, Tg1 e Tg3. Ha ricevuto il Premiolino, riconoscimento che nel suo caso vale un Pulitzer: miglior corrispondente dall’Estero.

Se si pensa che quell’estero si chiamava Unione Sovietica e che lui scriveva per «L’Unità» (quotidiano comunista) facile capire quanto sia riuscito a fare bene il suo mestiere. «Non ho ricevuto altri premi, ovviamente. Sono molto lontano da un certo sistema».

Con un film e con un libro ha cercato di dimostrare che l’attentato alle Torri Gemelle di New York (11 settembre 2001) non è esattamente opera di Al Qaeda ma un sanguinario pastrocchio organizzato dai servizi segreti. Su questo tema, a rischio di apparire dietrologo in forma grave, si lancia ancora oggi ponendo una serie di quesiti non banali.

Ma quello che gli sta a cuore in questo momento è altro: si chiama Uniti e diversi, soggetto politico che mette insieme movimenti schierati a tutto campo da destra a sinistra.

La sua visione del mondo non prevede sfumature: crollato il sistema dei partiti, sepolte le vecchie ideologie, stuprate le istituzioni, non resta che occuparsi della realtà. Realtà che, a suo parere, rischia di travolgerci come uno tsunami: la sovrappopolazione.

Di questo si occupa Uniti e diversi, da qui decolla un gruppo che ritiene d’avere dalla sua parte milioni di italiani inconsapevoli e onesti, popolo (e non solo) lobotomizzato da giornali e televisioni ma pronto a svegliarsi non appena suonerà la campana della resurrezione civile.

Nella Terra, dice Chiesa, non c’è più spazio per nuovi arrivi per la semplice ragione che i consumi non possono crescere all’infinito, e lo spazio a disposizione nemmeno. «Dobbiamo ripensare tutti assieme un mondo più attento e solidale».

Non è più possibile, insomma, sperare che il tempo delle vacche grasse sia eterno. L’opulenza dell’Occidente è minacciata dai disperati che arrivano dal Nord Africa, dalla crescita esponenziale dei Paesi emergenti, dal furore di gente sfruttata da secoli e cresciuta col piede coloniale sul collo. La via d’uscita è una radicale revisione del nostro modo di essere e di avere.

Qual è la collocazione di Giulietto Chiesa oggi?

«Ho lanciato un laboratorio politico che dichiaratamente non si colloca né a sinistra né a destra. La vecchia geografia non esiste più».

Non è che lei sia, più semplicemente, un comunista pentito?

«Neanche per sogno. Non ho abiurato, non ho cambiato opinione. Il fatto è che sono apparsi nuovi problemi sul palcoscenico del mondo, problemi che destra e sinistra non possono affrontare perché poggiano su strumenti d’analisi superati. Destra e sinistra si occupano d’altro».

Che vuol dire?

«Vuol dire che stiamo andando verso il suicidio ma destra e sinistra continuano a muoversi su vecchi schemi».

Suicidio, in che senso?

«La popolazione mondiale sta esplodendo. Il pianeta non riesce più a sfamarci tutti. La questione demografica è di assoluta emergenza. Stiamo vivendo in una gigantesca illusione».

Quale?

«Consumo e produzione non si possono dilatare all’infinito. Dunque occorre parlare della questione delle nascite».

Andate e moltiplicatevi non vale più. Contrordine compagni.

«Esattamente. L’allarme sovrappopolazione è il problema dei problemi in questo momento».

Benedetto XVI sarà felice di ascoltarvi.

«Quello demografico o il divieto del preservativo non sono gli unici dilemmi a cui il Papa dovrebbe dedicare una approfondita riflessione ».

Lei dice: partiamo dalla cosa pubblica. Che significa?

«Finora abbiamo confidato nel mercato, nel gioco tra domanda e offerta. Peccato però che il mercato sia collassato e di fatto, colpa della globalizzazione, non esista più. Quindi bisogna avviare un processo di decrescita».

Disoccupati e felici, questa è la formula?

«Nient’affatto. Parlo di una crescita guidata dall’intelligenza ovvero una contrazione dei consumi. Noi combattiamo contro il cancro perché la sua evoluzione può distruggerci. La battaglia contro consumi sempre crescenti è la stessa identica cosa».

Bisogna abolire il mercato?

«L’obiettivo non è questo. Se però consideriamo che il mercato non è più in grado di indicare una via d’uscita, dobbiamo affidarci ad altro. Per esempio, ad un’organizzazione sociale che riordini la nostra vita alla luce di una situazione nuova».

In che modo?

«Lo Stato deve finanziare un nuovo sistema. Siccome ci mancano i servizi sociali, la salute, l’assistenza agli anziani, l’istruzione e la cultura, si potrebbe - anche servendosi dei privati - impostare una sorta di vita diversa».

Sta proponendo, insomma, un capitalismo dal volto umano.

«Chiamatelo come vi pare. Dobbiamo ripensare le funzioni-chiave dello Stato. Il mercato, che si muove e vive esclusivamente alla ricerca del profitto, andrà per suo conto fino a un inevitabile crollo».

I soldi per fare tutto questo?

«Con la tassazione. Lo Stato ha il dovere di cercare danaro dove ci sono grandi guadagni. In pillole, serve una patrimoniale, tasse progressive sui redditi perché ciascun cittadino faccia la propria parte».

Che c’entra in tutto questo Hiroshima, Quirra e Fukushima?

«Il nesso è evidente: sono sintomi di una malattia che è andata via via aggravandosi. Dentro ci sta anche l’invasione dei migranti, segno evidente che abbiamo forzato troppo la mano: nel nord del mondo sempre più ricchi, nel sud sempre più poveri. Da Hiroshima in poi abbiamo ammazzato questo pianeta già un paio di volte. E ancora...»

Ancora cosa?

«Sparare in testa all’ecosistema sul quale viviamo significa, in fin dei conti, spararci in testa. Suicidio di massa. Ma quanti, ancora ingolfati tra le beghe di destra e sinistra, l’hanno davvero capito?»

Lei dice che la globalizzazione è fallita.

«Beh, doveva accrescere la ricchezza collettiva e ha mantenuto la promessa solo coi più ricchi. Non bastasse, ha esasperato intollerabili iniquità. La riprova è nella primavera araba».

Qual è il nesso?

«La generazione musulmana che oggi ha 25 anni è cresciuta insieme ad Al Jazeera, che ha mostrato tutti i giorni come vive il mondo occidentale mentre loro tirano a campare con due dollari al giorno. Ovvio, a questo punto, che la ribellione sia deflagrata in modo così clamoroso. I loro padri non lo sapevano, i loro padri non avevano Al Jazeera, Youtube, Internet».

Quindi sarà una rivolta sempre più estesa?

«Credo di sì. Vaglielo a spiegare che loro debbono vivere così perché noi vogliamo continuare a vivere cosà. A Mumbai ho visto con i miei occhi distese sterminate di gente che tira a campare senza un tetto, e per tetto intendo almeno un eternit sulla testa. Due milioni di individui vivono in questo modo. Però tutti o quasi hanno la tivù. E cosa gli fa vedere ogni santo giorno la tivù? Ecco dove nasce il virus della rivoluzione».

Uniti e diversi, fresco fresco di fondazione, cos’è?

«Un soggetto di confronto fatto da persone di esperienze politiche e culturali diverse che si riconoscono in quello che sto raccontando. I partiti politici sono morti, come sappiamo».

Morti?

«Squagliati, più precisamente. Hanno abbandonato la gente, sono intorcinati su questioni interne. Io credo invece che l’Italia conti ancora molte persone perbene capaci di reagire. Dentro c’è di tutto: idee, religioni e costumi. A ciascuno il suo: la diversità è una risorsa».

Un calderone ideologico.

«Certo, e questo rende il problema sicuramente complesso. Bisogna unificare prima di tutto il linguaggio o comunque trovarne uno in cui riconoscersi tutti».

Tutti, chi?

«Le sigle dei vari movimenti sono tante. Presto chiariremo gli obiettivi in un manifesto». Rivisita quello di Marx ed Engels del 1848? «Completamente diverso. Dobbiamo rovesciare la prospettiva. D’altra parte, che fra borghesia e proletariato non avrebbe vinto nessuno era stato previsto».

E allora?

«Possibile non ci si renda conto che la democrazia liberale è morta, che i padri costituenti hanno scritto di un’Italia che non esiste più, che i tradizionali punti di riferimento - istituzioni comprese - si perdono nel vuoto?»

Secondo lei, si sentiva il bisogno di una nuova sigla nell’ingorgato panorama nazionale?

«È un salto che occorreva fare. In tanti ci stiamo muovendo sulla rotta indicata dalla nuova civiltà: la civiltà della comunicazione».

L’Italia dei valori, di cui è stato militante, non l’attira più?

«È un partito che ha voluto la guerra, dunque non posso in alcun modo ritrovarmi su questa linea. È anche un partito non democratico perché rifiuta una legge che controlli la vita interna dei partiti».

Cioè?

«Non si può andare avanti col finanziamento pubblico, con le liste degli eletti decise dalle segreterie politiche, coi privilegi del ruolo».

Quindi non le va bene manco il Pd?

«Sta diventando uno dei partiti più conservatori in assoluto. Direi addirittura più reazionari ».

La rinascita della sinistra non passa dunque per Matteo Renzi, detto il Rottamatore?

«Renzi è lui un rottame, e non lo sa. Non funziona perché ripropone il vecchio sistema della sinistra e della destra lasciando fuori un’enorme parte di italiani né a destra né a sinistra ma sola con se stessa».

Non è che stia proponendo una sorta di protocomunismo?

«L’idea non mi dispiace per nulla a patto che si fermi alla battaglia per garantire a tutti quattro diritti fondamentali: casa, lavoro, scuola, sanità. La verità tuttavia è un’altra: sostituire il termine concorrenza col termine solidarietà».

E questo appianerà le diseguaglianze?

«Almeno ci proverà. I nostri figli, mettiamocelo bene in testa, vivranno peggio di noi. Non c’è scampo. La solidarietà è la sola via d’uscita in un mondo sempre più violento e ingiusto. Destra e sinistra non hanno più senso. Tanto è vero che con noi c’è Massimo Fini, considerato di destra. E anch’io mi sentivo di sinistra...».

Non si sente più?

«Non è che non mi senta più. Non chiedo a nessuno di rinunciare al proprio passato, me compreso. M’interessa la massima convergenza possibile su un Problema che non possiamo evitare: la sopravvivenza».

Non salva nulla dell’Italia di oggi?

«Quasi nulla. Qualche intellettuale, magistrati di valore, pochi giornalisti».

Perché pochi?

«Perché la maggior parte si è venduta, marmellatizzata. Gestisce una fabbrica di sogni, un mainstream che tace i veri problemi e ne inventa altri per tenere buono e tranquillo l’uomo-massa».

Non salva neanche Giorgio Napolitano?

«No, perché un presidente della Repubblica non può dimenticare l’articolo 11 della Costituzione che recita: “l’Italia ripudia la guerra...”. Non esistono guerre giuste, guerre umanitarie. Esistono guerre: e noi le ripudiamo».