📺 Media & Sovrappopolazione

Poca terra tanti uomini

Primo piano in Bianco/Nero di Albero Ronchey
Albero Ronchey colto in un momento di riflessione

 

Articolo tratto da sito del sito Governativo Italiano (La pagina governativo non è più disponibile online).

Articolo comparso anche sul Corriere della Sera del 7 febbraio 2007

 

L'impossibile equilibrio tra risorse e popolazione di Alberto Ronchey

 

L'Onu, l'Ue, il rapporto Stern divulgato dal governo britannico, il recente Living Planet 2006 del Wwf e altre fonti avvertono che le degradazioni ambientali si cronicizzano con crescenti pericoli. Fra le maggiori questioni, l'iperconsumo energetico, l'inquinamento da «effetto serra», le alterazioni climatiche. Ma nello stesso tempo, le stime Onu segnalano che anche l'accrescimento della popolazione mondiale continua, insieme all'usura delle risorse naturali, sia in alcune società industriali opulente sia in quelle preindustriali e indigenti. Quando la popolazione degli Stati Uniti ha raggiunto la soglia dei 300 milioni, a metà ottobre, l'annuncio è stato accolto con valutazioni disparate. Una «buona cosa», certo, secondo i procreazionisti per principio. Ma più consumi energetici e più inquinamento, secondo diffuse opinioni.

Discutendo sugli Stati Uniti, è affiorato anche il timore che l'elevata natalità e insieme le ondate immigratorie dal Terzo Mondo possano destabilizzare la massima società plurietnica occidentale, in particolare nelle sue congestionate megalopoli. Ancora una volta, è insorta poi la tendenza che depreca il declino della natalità in Europa come un drammatico «sfinimento». Simili opinioni trascurano il dato che nell'Unione Europea dei 25 la popolazione supera 461 milioni di abitanti sulla superficie di 3 milioni e 969 mila chilometri quadrati, rispetto ai 9 milioni e 373 mila degli Stati Uniti. Fra le cause della denatalità nell'Ue, come avvertono sociologi, demografi, economisti e persino etnologi-etologi, va dunque inclusa la controversa questione degli «spazi di vivibilità», oltre alla minore disponibilità di materie prime o di risorse energetiche.

 

Più che deprecare la denatalità o debolezza degli europei, sarebbe da ricordare la serie di strenui tentativi cinesi e indiani, con pratiche drastiche o anche spietate negli ultimi decenni, per limitare l'esorbitante «potere moltiplicatore della specie». Quanto al Terzo Mondo preindustriale superpopolato malgrado la più profonda miseria, è da considerare che nessun soccorso quantificabile può davvero fronteggiare quell'inflazione umana. Dunque, deforestazioni seguite da desertificazioni e da emergenza idrica. Eppure, nel mondo islamico pervaso dal precetto che «il numero è potenza», mentre la poligamia favorisce la massima procreazione, operano di rado governi orientati a perseguire qualsiasi responsabile politica demografica.

Fra gli enormi squilibri del nostro tempo, così la proliferazione umana procede a ritmi variabili e in larga misura incontrollabili. Chi tende a svalutare le proiezioni statistiche dell'iperpopolazione dovrebbe ricordare alcuni dati dell'esperienza storica. Nel 1968, l'anno dell'Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, i nostri simili erano tre miliardi e mezzo. All'inizio degli anni 90, il Population Reference Bureau dell'Onu prevedeva sei miliardi per l'anno 2000, come poi è stato. Nel dicembre 2005, seguiva l'annuncio: «È nato l'homo sapiens numero sei miliardi e mezzo». Ma viene ignorata, tuttora, l'insostenibilità dei fenomeni d'accrescimento illimitato in presenza di fattori limitanti. Da una parte, la pressione dei consumi o iperconsumi e dell'invasiva demografia. D'altra parte, la scarsità di risorse naturali non rinnovabili e la precarietà delle condizioni ambientali. Senza decisi passi verso un minimo sistema d'equilibrio globale, appare arduo anche solo concepire un'ipotesi di «ecologia umana» vivibile per le prossime generazioni.