🌲 Spiritualità

La meditazione come via immanente alla conoscenza di sé

 

di Andrea Bertuccioli - agosto 2007

 

 

 

GRADINI

Come ogni fiore appassisce o ogni giovinezza

cede alla vecchiaia, fiorisce ogni fase della vita

prospera  a suo tempo ogni saggezza insieme alla virtù

ma in eterno non vien concesso durare

Ad ogni richiamo della vita il cuore deve essere

pronto al congedo (commiato, distacco) e a ricominciare,

per darsi con coraggio e senza rimpianti

ad altri, nuovi legami.

E ogni inizio racchiude in sé un incanto

che ci protegge e a vivere ci aiuta.

Lievi dobbiamo attraversare spazi su spazi

a niente dobbiamo affezionarci come a una patria,

lo spirito del mondo non ci vuole legare e limitare,

ci vuole innalzare ed estendere di gradino in gradino

appena ad un cerchio della vita siamo avvezzi

incombe l’indolenza,

solo chi è pronto al viaggio e alla partenza,

può sfuggire alla paralisi dell’abitudine.

Forse ancora l’ora della morte

ci spingerà verso spazi ignoti

della vita il richiamo mai avrà fine…

Su, cuore mio, prendi congedo e guarisci!

                                                                   

   Hermann Hesse

 

 

In questa nostra epoca segnata da conflitti, guerre, terrorismo, precarietà economica e incertezza sul futuro, ma anche da rapidi mutamenti tecnologici, sempre più persone, deluse dalle false promesse delle religioni, delle sette, delle ideologie e di filosofie tanto astruse quante prive di autentico significato, sono alla ricerca, spesso confusa e affannosa, di un senso da attribuire alla propria esistenza, mentre molte altre sono animate esclusivamente da interessi e pulsioni di tipo materiale ed egoistico.

Non di rado coloro che si pongono alla ricerca della propria essenza interiore, si imbattono in tutta una serie di dottrine e correnti religiose, mistiche, settarie,  esoteriche che forniscono risposte preconfezionate e il più delle volte banali e illogiche alle grandi domande dell’esistenza.

In questo frenetico cercare, spinti dal bisogno irrefrenabile di approdare ad una qualche meta, è facile incontrare sul proprio cammino guru, presunti maestri new age, o pseudo illuminati provenienti dalle più disparate latitudini, i quali consapevoli di questo bisogno interiore di approdo verso nuove fonti di conoscenza, prospettano chiavi di accesso all’interiorità tanto mirabolanti e risolutive, quanto illusorie e irreali.

Tuttavia se si esamina tutto questo marketing della spiritualità con attenzione, rigore e accuratezza, ci si accorge prima o poi che le presunte risposte e spiegazioni fornite da questi sistemi teorici più o meno complessi, oltre ad essere incomplete e spesso contraddittorie al loro interno, costituiscono formule  suggestive ma impraticabili, inapplicabili al piano concreto, immanente, fattuale dell’esistenza.

In effetti le dottrine religiose, esoteriche, le sette, i sistemi politici, ideologici si combattono da sempre accanitamente tra loro, cercando di strapparsi gli uni agli altri quanti più seguaci e adepti possibile, anche se così facendo, nella lunga durata, finiscono di fatto per distruggersi a vicenda, danneggiandosi reciprocamente nel vano tentativo di dimostrare e stabilire la propria supremazia sugli altri.

Ci sono tuttavia anche persone, benché siano ancora poche, che si sforzano di ragionare con la propria testa e di acquisire con le proprie capacità di comprensione, attraverso un’attività di pensiero libera, autonoma e consapevole, nuove, sempre più vaste e profonde conoscenze, allo scopo di riuscire a cogliere il senso dell’esistenza umana e del mondo circostante.

Con il loro senso critico e l’uso appropriato della propria consapevolezza, essi costringono sempre più queste dottrine, ideologie, filosofie, religioni e sette a correggere e rettificare le proprie contraddizioni interne e a precisare via via i propri fondamenti e principi teorici, mettendovi pezze d’appoggio qua e là e cadendo così in ulteriori insanabili contraddizioni.

Troppo spesso cerchiamo fuori e lontano da noi stessi, in luoghi fisici o mentali remoti, esotici e misteriosi, quelle risposte che potremmo in realtà più facilmente – ma non senza fatica, pazienza e duro lavoro - trovare dentro noi stessi, ossia nel “luogo” tutto sommato a noi più prossimo.

L'arroganza, la presunzione, il falso orgoglio, la megalomania, il senso di superiorità nei confronti degli altri sono alcune delle manifestazioni più nocive dell’ego, ossia della pulsione degli esseri umani a dominare, soggiogare, dissimulare e ingannare.

La strada verso il superamento dell’ego è tortuosa e lastricata di difficoltà, battute d’arresto, sconfitte e arretramenti, in quanto le forze interiori che oppongono resistenza al cambiamento e all’autosuperamento o vittoria su se stessi, sono assai tenaci e persistenti.

Se si osserva inoltre il processo dell'evoluzione interiore, si comprende che esistano livelli o gradi di evoluzione completamente diversi da individuo a individuo a seconda del rispettivo livello di esperienza e di conoscenza della consapevolezza, per cui nessuno si trova allo stesso livello evolutivo di un altro.

Rattristarsi per la condizione attuale dell’umanità caratterizzata nella sua generalità da un basso livello di consapevolezza, è sterile.

Occorre invece sviluppare, attraverso un approccio meditativo, cioè neutro, uno sguardo il più possibile realistico ed obiettivo sulla realtà, senza far sconti al negativo che la caratterizza ma anche senza chiudere le porta alle possibilità di cambiamento.

Ciascuno infatti può impiegare proficuamente le proprie energie interiori, le proprie capacità e possibilità individuali, per contribuire nei modi che ritiene più opportuni in prima persona, tramite azioni, pensieri e sentimenti neutri, logici e coerenti  a cambiare la condizione generale del nostro pianeta e dell’umanità che lo abita cominciando innanzitutto a e dalla cerchia più ristretta di persone che frequenta.

Ogni cambiamento reale ed effettivo non può mai avvenire tramite imposizioni dall'alto, dai vertici politici ed economici, ma al contrario soltanto a partire dalla presa di consapevolezza dell’urgenza di cambiamento da parte di ogni singola persona.

La storia dimostra infatti che i cambiamenti imposti dall'alto, da parte di sovrani e autorità politiche, attraverso sistemi e regimi coercitivi, non producono nessun mutamento e progresso reale rispetto allo stato di cose precedente, ma provocano anzi reazioni ed effetti distruttivi e sanguinosi, come ribellioni, sommosse, guerre civili, rivoluzioni, tumulti e malcontento.

Le stesse rivoluzioni, in quanto frutto di azioni violente e sovversive, sono tutte sfociate, dopo un certo periodo di tempo, nel terrore e in orribili spargimenti di sangue, finendo per sostituire a regimi dispotici e oppressivi, forme di governo altrettanto coercitive, autoritarie o addirittura sanguinarie, in ogni caso sempre e comunque irrispettose delle libertà, delle volontà e delle esigenze delle singole persone.

Le strutture di potere che opprimono da millenni gli uomini della Terra, quali le istituzioni religiose, le varie forme di culto, gli apparati militari, i servizi segreti, i grandi gruppi e interessi economici, le dittature e i capi di governo fanatici e guerrafondai che arrecano soltanto sofferenza, morte, lutti, miseria e distruzione al genere umano, stanno in piedi in realtà grazie al sostegno concreto, politico, economico ma anche psicologico, diretto o indiretto, di tutti coloro che li finanziano, li appoggiano, li votano e fanno propaganda a loro favore, ecc. e sono centinaia di milioni.

Risulta quindi evidente come l’assunzione delle proprie responsabilità materiali e spirituali  verso se stessi, il prossimo, l’ambiente esterno, la flora e la fauna, il nostro pianeta e tutte le forme di vita in genere costituisca una premessa fondamentale affinché possano verificarsi dei cambiamenti significativi in senso evolutivo sul nostro pianeta nel prossimo futuro.

Infatti il senso di responsabilità e di autoresponsabilità è un elemento centrale nella definizione di un essere umano, perché contribuisce, insieme ad altri fattori, a fare di una persona un autentico essere umano, veramente degno di questo nome.

Assumersi le proprie responsabilità come esseri umani richiede una valutazione il più possibile neutra e realistica delle situazioni e delle esperienze della nostra vita e delle persone che ci circondano e richiede allo stesso tempo anche una capacità effettiva di autoanalisi, autoosservazione e conoscenza di se stessi, delle proprie capacità così come dei propri limiti.

A questo riguardo molti esseri umani hanno la tendenza comune, radicata ormai da diversi millenni a causa dell’influenza talvolta anche inconsapevole delle religioni, a scaricare le responsabilità riguardanti la conduzione della propria vita e l’acquisizione delle conoscenze necessarie a migliorarla e farla evolvere su presunte divinità, idoli, dei, angeli, santi, maestri, guru e altre figure religiose immaginarie, rendendo così schiava e prigioniera la propria consapevolezza.

Queste responsabilità individuali vengono inoltre delegate a leader politici o religiosi irresponsabili, spesso corrotti e privi di scrupoli che ne abusano sistematicamente, traendone  enormi  vantaggi e profitti personali.

Essi possono disporre così di un potere e di spazi di manovra enormi che gli permettono il più delle volte di  agire pressoché indisturbati.

Scrollarsi di dosso e delegare ad altri le nostre responsabilità di esseri umani costituisce ormai un comportamento largamente diffuso presso tutti gli strati della popolazione e tutti i ceti sociali.

Che si tratti di problemi ambientali, di lotta alla criminalità, di immigrazione, di conflitti militari, genocidi, terrorismo o più semplicemente di rapporti interpersonali di qualsiasi tipo, noi esseri umani non sappiamo o non vogliamo deciderci a imboccare la strada che, se percorsa conseguentemente e rigorosamente, porta alla reale ed effettiva risoluzione dei problemi che gravano su di noi, la strada verso l’effettiva conoscenza di noi stessi.

La tendenza è invece quella di prediligere quasi sempre la via che presenta minori difficoltà e minori resistenze e richiede perciò meno impegno e sforzo, vale a dire la più inefficace e illusoria.

Ma così facendo si sprofonda sempre più in una palude di indifferenza, inettitudine e superficialità che, eliminando il senso di responsabilità, ha l’effetto perverso di lasciare incancrenire e degenerare tutti i mali e problemi lasciati insoluti.

Uno degli strumenti più immediati e più rigorosi ai fini della conoscenza di sé è la meditazione.

Meditare significa letteralmente andare al centro (al nucleo essenziale) di sé stessi, del proprio Sé profondo, e mettersi in connessione con esso, stabilire un contatto diretto con ciò che vi è di più significativo, con l’assolutamente significativo e l’incondizionatamente  presente e reale, dove il significato e la realtà sono di tipo esistenziale – esperienziale,  al di là di ogni teoria, di ogni mistica, filosofia, insomma di ogni struttura di pensiero codificata.

Questo può avvenire in vari modi e attraverso varie tecniche, ma il fine ultimo resta sempre lo stesso: arrestare, bloccare per qualche attimo, minuto, decina di minuti o ora il dialogo interiore, quel flusso ininterrotto di pensieri e sentimenti che costituisce una sorta di rumore di sottofondo, di costante brusio della nostra mente e che la rende così spesso deconcentrata, depotenziata, stanca, priva o carente di energia e vitalità. (creatività)

Pensate solo che contributo potrebbero fornire dare al cambiamento della società e all’evoluzione dell’umanità milioni di menti concentrate, attente, vigili, operanti ad un livello di consapevolezza superiore.

Meditare in senso proprio, ossia neutro e aggiungerei laico, come atto immanente, ossia non religioso, mistico, trascendente, significa sviluppare uno sguardo intenso e chiaro verso la propria interiorità più profonda, verso la propria essenza più intima, uno sguardo che con il perfezionarsi della abilità e della capacità meditative, si fa sempre più limpido, lucido e penetrante, fino a diventare col tempo e la pratica una percezione definita del proprio sé, che può essere sempre più affinata e perfezionata.

Questo lavoro su di sé, che solo una mentalità completamente materialistica può considerare qualcosa di inutile e superfluo, permette di ottenere o ripristinare quell’equilibrio e quell’armonia della psiche che costituiscono il presupposto indispensabile per muovere ulteriori passi sulla via della ricerca di sé e della conoscenza di se stessi.

Una descrizione mirabile, allo stesso tempo semplice e profonda della percezione della realtà che si raggiunge nello stato meditativo la si trova nel celebre racconto di H. Hesse, Siddharta:

 

“(…) Siddharta ascoltava. Era tutt'orecchi, interamente immerso in ascolto, totalmente vuoto, totalmente disposto ad assorbire; sentiva che ora aveva appreso tutta l'arte dell'ascoltare. Spesso aveva già ascoltato tutto ciò, queste mille voci nel fiume; ma ora tutto ciò aveva un suono nuovo. Ecco che più non riusciva a distinguere le molte voci, le allegre da quelle in pianto, le infantili da quelle virili, tutte si mescolavano insieme, lamenti di desiderio e riso del saggio, grida di collera e gemiti di morenti, tutto era una cosa sola, tutto era mescolato e intrecciato, in mille modi contesto. E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.”

 

Questo brano ci mostra con esemplare chiarezza come nello stato meditativo profondo si pervenga ad una identificazione e ad una fusione armoniosa tra la percezione interiore e quella del mondo circostante, uno stato di attenzione elevato al massimo grado che riconduce la molteplicità dei fenomeni e degli esseri ad unità suprema.

Ogni cosa è colta nel suo essere se stessa, nella sua assoluta presenza, nel suo perenne fluire, senza giudizi e pregiudizi, percepita cioè non nella modalità del dovrebbe essere, sarebbe bene che fosse o del potrebbe essere, ma dell’è così.

Quella che si esperisce nello stato meditativo profondo non è una conoscenza di tipo discorsivo, ma di tipo realizzativo-intuitivo, cioè una percezione immediata della realtà e dell’essenza di qualcosa, in primo luogo di sé stessi, in virtù dell’attenzione protratta su di sé o su un qualunque altro oggetto, interiore o esteriore di meditazione. Pura presenza della consapevolezza in sé e a sé.

Si tratta di un vedere con gli occhi invisibili e immateriali  della consapevolezza,  ma altrettanto reali di quelli materiali, nel senso espresso dal termine inglese “insight” o del tedesco Einsicht, vedere dentro, all’interno.

Uno  degli effetti che la pratica meditativa esercita sulle persone, come vedremo meglio in seguito a proposito di recenti studi scientifici, è quello di renderle più ricettive, percettive, sensibili, attente, ma anche capaci di intrattenere rapporti interpersonali  e di svolgere attività materiali e mentali con una intensità, una energia, una concentrazione, una qualità dell’esperienza, ben superiori a quelle ordinarie, riscontrabili presso i non meditanti.

Di solito infatti la consapevolezza ordinaria che caratterizza la maggior parte delle persone che non praticano la meditazione, è quasi sempre deviata, distorta, alterata distratta da pensieri estranei e ricorrenti, da flussi di immagini, ricordi, da desideri, aspettative, brame, manie più o meno esplicite, protesa sempre verso un altrove rispetto al momento presente, nell’atto e nel tentativo di anticipare e immaginare scenari futuri o di rimpiangere o rimuovere il passato.

Anche la capacità di ascolto e di osservazione trae enormi benefici dalla pratica meditativa, così come la chiarezza dei processi mentali, dato che meditare significa praticare una sorta di igiene psichica o per dirla con Gregory  Bateson di ecologia della mente, ossia ripulirla  da tutte le sovrastrutture, le impressioni superficiali, le pulsioni, i pensieri inutili e superflui, talvolta ossessivi e parassitari, che offuscano progressivamente lo sguardo su di sé, sul sé profondo, la cui natura e origine è di tipo cosmico – spirituale, fino a (ostacolarne) impedirne totalmente la vista.

Tutte le sapienze più antiche d’oriente e d’occidente, le scuole iniziatiche e le vie sapienziali erano e sono consapevoli di questa realtà, perciò nel caso di Bateson si può parlare di una riscoperta di antiche conoscenze sepolte sotto la polvere e l’oblio dei millenni.

Meditare serve inoltre a conferire stabilità, solidità e continuità ai nostri processi interiori, che nello stato di consapevolezza ordinario, non-meditativo sono soggetti ad enormi oscillazioni, talvolta di carattere schizofrenico, come se gli stati interiori (d’animo) fossero canne continuamente piegate qua e la dai venti e delle tempeste emotive, ossia dalla furia incontrollata dei pensieri e dei sentimenti, sotto forma di rabbia, odio, frustrazione, amarezza, delusione, tristezza, abbattimento, gelosia, invidia, rancore, brama di possesso, desiderio (sete) di vendetta, fretta, affanno, (come se si fosse costantemente pungolati a dover essere o fare), sgomento, ansia, angoscia da non senso, pigrizia rinunciataria, mancanza di vitalità, malumore, recriminazione, autocommiserazione, autocolpevolizzazione, avvilimento, scoramento, sconsolatezza, ira per la bruttezza e stoltezza delle cose o delle persone, malinconia, desolazione, disappunto, risentimento, bisogno morboso di riconoscimento, dipendenza nei confronti dei giudizi altrui, attaccamento (a tutti questi stessi) agli stati negativi,  ma anche euforie, passioni, ebbrezze  ed entusiasmi momentanei e transitori.

Si è letteralmente dominati (sopraffatti) da questo stati interiori di squilibrio, essi hanno il totale sopravvento su di noi, divengono parte costitutiva e ineliminabile del nostro essere in virtù di un attaccamento o legame perverso con essi, finendo per divorare ogni energia residua e ogni slancio di tipo evolutivo.

Questi stati negativi, di turbolenza interiore, rendono estremamente difficile entrare in connessione armonica col nostro sé e dimorarvi, e producono una drastica alterazione e diminuzione del flusso di forza vitale che toglie vita, essere  alla mente e alla consapevolezza.  (Si tratta perciò tramite la meditazione di restituire energia vitale, vita esistenza effettiva (non apparente), essere alla mente e alla consapevolezza).

La presa d’atto, l’osservazione neutra dello stato negativo costituisce il primo passo per il suo graduale superamento e dissoluzione. Per farlo però occorre volontà costanza e motivazione al cambiamento del proprio stato interiore.

La mancanza di costanza, la labilità e volubilità sono elementi caratteristici di molti soggetti e individui del nostro tempo.

Se osserviamo la vita di molte persone che ci circondano e che ci capita di incontrare, notiamo che le loro strutture psichiche e caratteriali sono caratterizzate da una evidente mutevolezza e fragilità, nel quadro di una generale precarietà dei legami affettivi, dei rapporti sociali e di lavoro.

I rapporti tra le persone sono sempre più superficiali, banali, effimeri, i vincoli d’amicizia sempre più fluidi e instabili, basati spesso più su interessi e convenienze reciproche o sulla partecipazione a forme di divertimento vuote ed alienanti, nel grande circo della società del tempo libero (quella che Bauman chiama “società liquida”), piuttosto che sulla volontà di conoscenza effettiva della reale natura dell’altro, come fonte di arricchimento interiore e di evoluzione dell’esperienza.

In una conferenza tenuta a Milano sulla fragilità dei rapporti umani il sociologo anglo-polacco Zygmund Bauman ha affermato:

 

“Siamo consumatori in una  società di consumatori. La società dei consumi è una società di mercato; tutti noi siamo nel e sul mercato, in modo intercambiabile, simultaneamente acquirenti e merci. Non meraviglia perciò che l’uso/consumo delle relazioni si adatti ormai sempre più velocemente al modello dell’uso/consumo delle macchine e delle merci,  ripetendo il ciclo che inizia con l’acquisto e finisce con lo smaltimento dei rifiuti”.

 

In questa condizione di estrema precarietà dei rapporti umani, la stessa amicizia, intesa in senso spirituale come conoscenza empatica e sintonia interiore con l’altro, capace di arricchire la qualità della esperienza e dell’esistenza, sembra destinata a diventare un modello ormai desueto.

Ma esseri umani che non sono più in grado né vogliono conoscere sé stessi, non sono più nemmeno in grado di conoscere gli altri, da cui sempre più cercano di proteggersi e di schermarsi, non solo per la paura (in sé naturale) dell’estraneo, ma anche per il timore che mettendo a nudo parti della propria essenza interiore, possano scoprire il fianco a intrusioni e attacchi, ferite nei confronti della propria personalità. Questo produce, come aveva già notato Lorenz, un generale raffreddamento e una stagnazione della sfera dei sentimenti, un gelo dell’anima che impedisce alla persone di instaurare legami profondi, vitali e intensi con il prossimo.

Capita infatti che non poche persone si rinchiudano, consapevolmente o inconsapevolmente, in una sorta di prigionia interiore, incapsulandosi ermeticamente nel guscio protettivo e impermeabile del proprio ego, da cui  sovente non sono più in grado di uscire.

Ma come insegnava il Buddha questo rinchiudersi nella prigione dell’ego e delle sue pulsioni, ossia nelle strutture del materialismo, dell’egotismo e dell’edonismo, è fonte di sofferenza morale ed esistenziale, la quale è il frutto della disattenzione (a sé, su di sé, verso le proprie vere esigenze) ma anche dell’ignoranza, ossia della non conoscenza della reale fonte della pace, della libertà e dell’armonia interiore, il contatto con la matrice profonda del sé.

Volgendo lo sguardo a occidente, alla filosofia greca, socratica, troviamo lo stesso pressante invito alla conoscenza di sé stessi come costitutiva della definizione e della natura dell’umano.

Perciò una società e una civiltà come quella attuale che ha disimparato e sta sempre più disimparando e disincentivando questa pratica essenziale per la costruzione dell’essere umano, è una società che reca in sé i germi del declino e della degenerazione.

Il fatto è che la conoscenza di sé stessi è diventata qualcosa di trascurabile e insignificante  in una civiltà che da valore soltanto a ciò che quantificabile, che è oggetto di calcolo, misurazione, classificazione e statistica:

A questo proposito il grande scienziato, padre della moderna etologia, Konrad Lorenz ebbe a osservare (Declino dell’uomo):

 

“poiché ogni responsabilità morale dell’uomo discende dalla sua sensibilità a determinati valori, è necessario confutare l’errore endemico che considera dotato di realtà soltanto ciò che è numerabile e misurabile quantificabile. E’ necessario dimostrare in modo convincente che i processi soggettivi della nostra esperienza interiore hanno lo stesso grado di realtà di tutto ciò che può essere espresso con la terminologia delle scienze esatte della natura”.

 

Esperienza interiore come fattore di conoscenza altrettanto importante di quella scientifica: pronunciate da un grande scienziato del nostro tempo, queste parole assumono un significato straordinario.

Questa è stata ed è ancora l’epoca delle masse, più che degli individui autonomi ed autoresponsabili, masse amorfe, passive ,influenzate e influenzabili, condizionate, soggiogate e suggestionate nella prima metà del novecento, e ancora oggi in molte parti del mondo, da tribuni senza scrupoli e dai loro perfidi strumenti di propaganda e indottrinamento, da sirene ideologiche e religiose che ne fanno blocchi compatti dediti al culto e alla venerazione del capo, carne da macello per guerre e imprese di conquista sanguinarie, ma anche polli d’allevamento da ingozzare di stupidaggini e spingere al consumo insensato di merci attraverso stimoli sessuali per mezzo della  pubblicità, della televisione e altri strumenti di persuasione più o meno occulti.

La Terra è diventata una nave stipata fino all’inverosimile e guidata da nocchieri irresponsabili, che fomentano invece che arrestare questa corsa folle alla crescita demografica ed economica, allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali residue, questa corsa agli armamenti, alla devastazione dell’ambiente, alla definitiva alterazione del fragile ecosistema che ci ospita.

Viviamo in quello che è diventato, come vide già negli anni 20 lucidamente René Guénon il regno della pura quantità, in cui l’economia non si occupa che del PIL o di indici di crescita dello zero virgola per cento, la scienza tende a ridursi spesso a puro calcolo e quantificazione di eventi ripetibili, la vita diviene riproduzione indiscriminata, eccessiva e innaturale di esseri umani, creando sovrappopolazione, le città enormi conigliere umane afflitte da crimine, traffico e cemento, i malati statistiche e numeri, i cittadini elettori e contribuenti, ossia schede elettorali e codici fiscali.

L’essere umano, il singolo essere umano nella sua irriducibile differenza e meravigliosa unicità diviene un’entità anonima, atomizzata, spettrale, solo in una folla solitaria, alla ricerca frenetica di modi e forme, sempre più forzate ed esasperate  per uscire da sé, per appunto divertirsi (da divertere, deviare…) in quanto teme sempre più la compagnia di sé, il contatto con quella parte allo stesso tempo oscura e luminosa di sé che ha ripudiato e misconosciuto.

L'individuo eterodiretto di oggi secondo l’analisi di Riesmann è guidato in prevalenza, nel suo comportamento, dal desiderio di adeguarsi a ciò che da lui si aspetta il gruppo sociale che egli frequenta abitualmente ed quindi altrettanto poco capace di distanziarsi dai modelli esterni quanto lo era il suo predecessore premoderno ma, invece di orientarsi verso i modelli immutabili del passato, egli orienta la sua bussola interiore verso gli atteggiamenti, le preferenze e i gusti massificati e omologanti  di quei contemporanei che costituiscono figure di spicco all'interno del gruppo di riferimento o con cui entra in contatto in modo fittizio attraverso i mass media ed Internet.

Vuoto interpersonale, assenza di comunicazione profonda, anonimato, depersonalizzazione  dei rapporti umani,  disturbi del comportamento relazionale e sociale, nevrosi, autoreferenzialità, narcisismo ed egotismo sono solo alcuni dei sintomi che presenta questo individuo-massa atomizzato, alienato e solitario tipico delle società di massa della civiltà moderna e postmoderna.

Su un versante (altro) diverso, quello psico – pedagogico sembra fargli eco Bruno Bettelheim (ne “Il cuore vigile”):

 

“Attualmente, il progresso tecnico ha di gran lunga superato il grado di integrazione corrispondente. Questa mancanza di equilibrio propria di molti cittadini del moderno stato di massa porta con sé anche disturbi di natura emotiva che, come molti di noi sanno, sono dovuti a conflitti non risolti. Ma la loro soluzione dipende dal grado di integrazione della personalità”. 

 

Mi chiedo perciò “Quo vadis humanitas”? Dove ti stai dirigendo genere umano?

Penso che solo un risveglio dal sonno profondo della consapevolezza e una riscoperta effettiva del senso di responsabilità verso sé stessi, la vita e  l’ambiente che ci circonda, la natura di cui pure siamo parte, potranno un giorno consentire al genere umano, in preda a una sorta di ipnosi collettiva, di ritrovare la strada che porta alla conoscenza di sé stessi e quindi alla risoluzione graduale di molti dei  mali sociali e ambientali che l’affliggono, i  quali a ben vedere non sono che sintomi ed effetti visibili, epifenomeni, del male più profondo che l’attanaglia:

l’oblio di sé, del proprio vero sé interiore.

La riscoperta del Sé, della vera essenza dell’umano non può che passare attraverso l’esercizio  quotidiano della meditazione come via empirica, non-teorica alla conoscenza di sé.

Meditare significa immergersi gradualmente e lucidamente nelle profondità del proprio sé, per sondarne l’estensione e i limiti e permanervi in uno stato di massima attenzione priva di riflessione cioè di attività dei pensieri e sentimenti, indugiando nella pura e neutra osservazione dei propri stati e moti interiori senza giudicarli, rifiutarli o condannarli.

L’esercizio della meditazione distende, decontrae, disaccannisce, placa, soavizza l’io, ne relativizza la portata e l’influenza e rende perciò in definitiva meno aggressivi, meno superbi, supponenti, arroganti, presuntuosi, ha un effetto armonizzante.

Per conoscere sé stessi sono sufficienti forme semplici, nei primi tempi anche brevi, ma tanto più efficaci di meditazione, ossia forme non illusorie, non  trascendenti, religiose o mistiche. Efficacia e semplicità vanno di pari passo, la pratica meditativa non conosce astrusità cerebrali, complicazioni intellettuali, arrampicature su specchi concettuali, contorsionismi verbali.

L’atteggiamento filosofico - intellettuale è invece il più della volte bastato, per sua stessa natura, sulla volontà (egoica) di possesso e di affermazione di tutte le frasi, le parole e i concetti essenziali e significativi sul mondo e sulla vita. La meditazione al contrario è esperienza diretta, non-verbale, immediata, percettiva, di sé e del mondo e della vita, quindi di ciò che è altamente significativo (non dei significati), in quanto percezione sottile e continua; è distacco dell’io per entrare in possesso (nella sfera di influenza) di sé.

La meditazione non è un discorso, una sequenza di parole, di pensieri e concetti, una narrazione su di sé e sul mondo, per cui la filosofia può al limite parlarne, può criticarla, ma non può esserla, esperirla, farne esperienza.

Un altro equivoco sulla esperienza meditativa è che debba essere basata sulla fede, sulla trascendenza, su una visione del mondo mistico-religiosa e rivelata o sulla religione come sistema organizzato di credenze, ma anche sul soprannaturale e soprasensibile, ossia sulla fede in al di là rivelati o piani trascendenti.

L’esperienza meditativa è al contrario una modalità dell’esperienza umana che non esige nessun credo, nessuna fede o religiosità, nessun dogma, quindi è qualcosa di inattingibile ed inesperibile per una mente strettamente religiosa, dogmatica, ma lo è anche, seppur in misura diversa, per una mente puramente filosofica e concettuale, che infatti la confonde e la identifica il più delle volte (quasi sempre) con la riflessione e la contemplazione.

Una mente filosofica o religiosa può tutt’al più farne oggetto di discorso, di riflessione o di fede, ma non di esperienza, perché il farne esperienza presuppone l’abbandono e supermento dei concetti, delle parole, delle significazioni e delle rappresentazioni, per introdursi alla dimensione della pura e assoluta presenza, della pura e incondizionata percezione e osservazione, che costituisce uno stato dell’essere altro, una dimensione interiore altra  rispetto al comune stato mentale di tipo riflessivo, discorsivo, dialogico.

La conoscenza di sé richiede certamente tempo, volontà, motivazione, spirito di ricerca, curiosità, assenza di pregiudizi, magnanimità, nobiltà e purezza d’animo, tolleranza (verso sé stessi e gli altri) pazienza, rispetto, equilibrio, modestia, accettazione e stima di sé, tutti valori che nella società del tutto e subito, dell’usa e getta sembrano non trovare più posto.

Come hanno insegnato i sapienti e i saggi di tutte le  epoche e culture, conoscersi è opera di una vita intera, è il compito più alto e nobile che un essere umano si possa assegnare.

Si tratta di quell’opera o attività esistenziale che in altri termini Jung chiamava individuazione e integrazione della personalità che consiste nell’integrare il nostro io, la nostra personalità esteriore, superficiale, con le istanze del nostro sé profondo, della nostra consapevolezza, cioè diventare veramente noi stessi, diventare in realtà ciò che siamo in potenza, ciò che potremmo essere, ma ancora non siamo.

Da questo punto di vista, è vano cercare appigli, stampelle fuori di sé, se non si è capaci di essere di sostegno a sé stessi. Un detto zen suona infatti  “Se incontri un Buddha, il maestro, per la strada, uccidilo”, che nella logica paradossale, sovversiva della percezione ordinaria delle cose tipica del buddismo zen non significa nient’altro che è vano cercare maestri e illuminati fuori di sé, se non si è in grado di essere maestri a sé stessi.

Nonostante tutto nell’epoca attuale molte più persone di quanto non si pensi, avrebbero la possibilità e le capacità di essere i maestri di sé stessi, ossia di imboccare un percorso di conoscenza di sé stessi che conduca al controllo sempre più completo dei propri pensieri e sentimenti, al padroneggiamento di sé, al dominio sulle proprie emozioni negative e degenerate e in definitiva ad una  evoluzione della propria consapevolezza.

La consapevolezza come presenza a sé stessi nel senso di una profonda e autentica autocomprensione e autoconoscenza , identità o identificazione con la parte più profonda di Sé se stessi,  non va confusa con la coscienza, come senso morale,  percezione del bene e del male.

La consapevolezza è la chiave per accedere al mondo interiore, in quanto rappresenta  ben più che un termine, una realtà per noi ancora tutta da esplorare, un universo in gran parte oscuro da illuminare, rettificando e orientando in modo appropriato i nostri pensieri e sentimenti.

Consapevolezza è un edificio interiore a più strati, da quelli più superficiali ossia la personalità esteriore quella che ci serve per intrattenere rapporti sociali, per interagire con gli altri, detta anche ego, al subconscio in cui sono depositati paure, aspirazioni, pulsioni,  alle varie forme di inconscio, alla consapevolezza centrale e le varie forme specifiche, per esempio quella sensoriale, quella verbale, quella numerica, matematica, artistica, musicale.

Questa consapevolezza di sé, del proprio vero sé può essere risvegliata dal torpore in cui versa abitualmente, attraverso la costante pratica meditativa, fino ad attingere la dimensione cosmica - creazionale del suo esserci, del suo essere parte di un tutto, di una “rete” universale di forme di consapevolezza, quello che Jung chiamava l’inconscio collettivo.

La consapevolezza individuale è infatti legata nella sua radice spirituale profonda alla consapevolezza collettiva che non è la pura somma di quelle individuali; è così che l’esperienza soggettiva individuale può acquisire una portata e un significato universale, il ché non significa trascendente, perché la consapevolezza non trascende alcunché, ma permanendo nella pura attenzione verso di sé, realizza, intuisce il suo legame ineffabile col tutto, con le altre esistenze consapevoli e con la forza, energia creante che tutto permea di vita, elementi questi che non possono essere colti dal pensiero discorsivo, verbale, analitico, dal consueto e incessante dialogo e bisbiglio  interiore dei pensieri, ma solo dalla sguardo profondo del sé.

Lo stesso Guénon ne “La crisi del mondo moderno” affermava:

 

“In Occidente esiste oggi un numero di persone, più grande di quel che si creda, le quali cominciano a prender conoscenza di quel che manca alla loro civiltà: se esse restano in vaghe aspirazioni e in ricerche troppo spesso sterili, se accade perfino che esse smarriscano definitivamente la via, ciò avviene per il loro mancare di dati reali, che nulla potrebbe sostituire…”

 

Quel che manca alla loro civiltà: la sapienza del sé, la saggezza come forma di conoscenza di sé. Questa mancanza produce uno scarto, un divario sempre crescente rispetto ai ritmi vertiginosi del progresso tecnico.

Il divario tra il livello di evoluzione della tecnica e quello della consapevolezza è stato oggetto di uno studio approfondito da parte del filosofo austriaco Guenter Anders, culminato in due mirabili opere dal titolo “L’uomo è antiquato: considerazioni sull’anima nella seconda rivoluzione industriale”.

Il tema centrale del lavoro di Anders è quello della vergogna prometeica ossia la percezione sempre più diffusa, soprattutto nelle società avanzate, del dislivello, del non-allineamento o non-sincronicità tra il grado di consapevolezza degli esseri umani e le loro conquiste tecniche, i loro prodotti tecnologici e materiali.

 

“Oggigiorno possiamo senz’altro progettare la distruzione completa di una grande città ed effettuarla con i nostri mezzi di distruzione. Ma immaginare questo effetto, afferrarlo, lo possiamo soltanto in modo del tutto inadeguato. E tuttavia quel poco che siamo in grado di immaginare: il quadro confuso di fumo, sangue e rovine è ancor sempre molto se lo confrontiamo con la minima quantità di ciò che siamo capaci di sentire o di cui siamo capaci di sentirci responsabili al pensiero di una  città distrutta”.

 

In particolare Anders si soffermò (ricordiamo che il libro fu pubblicato negli anni 60) sulle sempre maggiore pervasività e capacità di manipolazione e penetrazione delle coscienze dei messaggi mass mediatici, radio televisivi che a suo dire assillano e assediano la nostra mente con simulacri di immagini o immagini-fantasma, irreali, che ci rendono sempre più passivi, dipendenti, maniaci compulsivi, sempre più incapaci di pensare e agire in piana autonomia.

Tuttavia qualcosa di inedito sta accadendo, per lo più nell’indifferenza generale: tradizioni assai antiche, come le pratiche meditative buddiste si stanno incontrando con le punte più avanzate di carattere interdisciplinare della moderna ricerca scientifica.

Da qualche tempo infatti equipe di neurofisiologi, biologi, epistemologi, psicologi clinici sono all’opera per studiare gli effetti della meditazione profonda sul cervello, sulle onde cerebrali, ma anche sulla fisiologia generale del corpo.

Il testo che da questo punto di vista ha fatto scuola e aperto la strada agli studi interdisciplinari sulla meditazione e la conoscenza di sé è stato “La via di mezzo della conoscenza” di F. Varela, Thompson, Rosch, (tre autori provenienti da ambiti disciplinari diversi) che ha aperto nuove importanti prospettive di superamento delle classiche concezioni riduzionistiche della mente e della consapevolezza.

L’approccio di tipo riduzionista (per il quale in sostanza la mente non è che un ammasso di neuroni), tipico di una parte preponderante delle neuroscienze, della filosofia della mente e delle scienze cognitive e la difficoltà enorme che queste discipline incontrano nel tentativo di spiegare e rendere conto della consapevolezza, della percezione e dell’esperienza della realtà da parte del Sé, è esemplificato efficacemente nel testo citato dalla seguente citazione di una celebre espressione del filosofo Dennett:

 

"Entri dal cervello attraverso l’occhio, risali lungo il nervo ottico, giri e rigiri sulla corteccia, cercando dietro a ogni neurone, e prima di rendertene conto emergi alla luce del giorno sulla punta di un impulso nervoso motorio, grattandoti la testa e domandandoti dove sia il Sé" (Dennett, 1984 cit. in Varela, Thompson, Rosch 1991)

 

Varela, scomparso prematuramente, Maturana e altri neurobiologi ed epistemologi hanno tentato in anni recenti di sviluppare un approccio innovativo, complesso e articolato al problema della coscienza/consapevolezza, cercando di dotare le scienze cognitive di nuovi  modelli  teorici e strumenti pratici che le consentano di superare la ristretta  visione dualistica dominante mente – corpo, aprendo ad una concezione dinamica, relazionale dei processi consapevoli dell’esperienza che pone l’accento sulla interdipendenza, sui feed-back tra mente e ambiente esterno.

Le scienze cognitive classiche si basano infatti su un approccio meccanico che sottende un modello causale-lineare descritto dal processo: sensazione/input, elaborazione  output/risposta. I sistemi dinamici al contrario sono caratterizzati da una interazione circolare in cui ogni elemento agisce sul successivo, finché, come nella chiusura di un cerchio, l’ultimo elemento ritrasmette l’effetto al primo. Questi legami non lineari sono chiamati: "anelli di retroazione".

Varela sosteneva che “Negare la verità della nostra propria esperienza nello studio scientifico di noi stessi non è solo insoddisfacente, bensì dissolve l’argomento stesso che ci proponiamo di studiare”, ossia il fatto che esistono corpi/mente che fanno esperienza concreta della realtà.

Egli parlava della meditazione come di una vera e propria tecnica dell’esperienza di sé che potrebbe avere un impatto enorme sia sulla medicina moderna che sulle pratiche psicoterapeutiche.

In un recente e ponderoso studio dal titolo “Zen and the Brain” il neurofisologo J. Austin giunge alla sorprendete conclusione, dopo aver analizzato scientificamente le variazioni delle strutture e dei processi cognitivi di alcuni praticanti la meditazione zen, che “quegli stati di chiarezza e limpidezza della consapevolezza detti nello zen “satori” corrispondono in termini cognitivi, nel linguaggio delle neuroscienze a una sorta di riavvio (re-boot) del cervello che produce un dissolvimento delle strutture mentali abituali, consolidate (in particolare delle strutture centrate sugli input io/me/mio) e ne ricostituisce altre molto più elastiche, duttili e ricettive.

Per effetto di queste ricerche di frontiera la scienza si è andata gradualmente risvegliando e avvicinando a una tematica che, fino a poco tempo fa, sembrava ‘non-scientifica’: lo studio della consapevolezza e della meditazione da parte della scienza stessa.

Eccoci dunque giunti al luogo d’incontro tra una tecnica di conoscenza di sé antica come il mondo, la meditazione, probabilmente praticata in estremo oriente in tempi ben anteriori alla stessa diffusione del buddismo e la scienza moderna.

Infatti negli attuali esperimenti che si servono dell’imaging del cervello per studiare i sostrati neurali delle emozioni e dell’attenzione, i dati empirici non sono correttamente interpretabili se non prendendo in considerazione descrizioni raffinate dell’esperienza interna.

Il canale culturale franco-tedesco ARTE ha mostrato di recente un documentario sugli studi effettuati da un’equipe di neurofisiologi americani ed europei, iniziati nei primi anni 90 su impulso dello stesso Varela su alcuni monaci buddisti tibetani mentre praticano una forma di meditazione chiamata “Presenza vigile”. Affascinati dalle loro capacità di ottenere in brevissimo tempo stati di concentrazione profonda, intensa  e imperturbabile e di  regolare costantemente i loro stati emotivi anche nelle situazioni più spiacevoli e anche quando erano soggetti a stimoli visivi, immagini crude, rivoltanti, ripugnanti o drammatiche, i neuroscienziati hanno sottoposto i monaci a test prolungati e a misurazioni ripetute nel tempo delle loro attività mentali con l’ausilio delle più sofisticate tecniche di indagine cerebrale. L’obiettivo dello studio era capire se e come la meditazione possa influire sulla plasticità del cervello, ossia sulla sua capacità di adattamento alla realtà e quale rapporto si instaura tra la mente e il corpo durante il processo meditativo.

Scanner ed elettrodi sono stati così posti in modo sistematico al servizio di un tentativo di comprensione di uno degli stati mentali più enigmatici e profondi del nostro essere, la meditazione: un territorio, per ammissione di quegli stessi neurofisiologi ancora largamente inesplorato.

Si è potuto così scoprire che attraverso l’attivazione durante la meditazione di uno stato mentale che i buddisti chiamano di presenza vigile e consapevole si formano connessioni neuronali specifiche in una zona della corteccia, che non si formano affatto in persone che non attivano quegli stati mentali tipici (caratteristici) di coloro che praticano la meditazione.

E’ la prova che il pensiero, la mente può influenzare la materia, in questo caso la materia cerebrale e le connessioni neuronali.

 

      Andrea Bertuccioli

 

Note sull’autore:

 

Libero pensatore, filosofo dedito da anni all’esplorazione indipendente dell’universo interiore, è alla ricerca di persone interessate a condividere esperienze e conoscenze in questo campo ed eventualmente a formare un gruppo di discussione reale e non virtuale su questi temi.

Il sottoscritto è infatti convinto che in questa società dominata da materialismo, superficialità, forme divertimento vuote e banali, emerga sempre più l’esigenza di comprendere le leggi dell’anima e dell’interiorità profonda, prescindendo da logiche accademiche, specialistiche, libresche e settoriali, ma attraverso uno sguardo e un approccio che metta al centro innanzitutto l’esperienza individuale soggettiva come fonte indispensabile di conoscenze e di arricchimento interiore.

Riscoprire l’arte della conversazione e dello stare insieme non subordinati ad altre finalità, se non alla pura curiosità per l’universo di esperienze  e conoscenze dell’altro, al desiderio di comunicare e ascoltare, scambiarsi e idee e opinioni sulle reciproche percezioni di sé e del mondo, sarebbe fatto assai desiderabile, in questo tempo in cui i nuovi strumenti di comunicazione, ma anche le strutture sociali in genere tendono ad isolare sempre più le persone, a rinchiuderle nel proprio guscio e a non offrire loro il necessario nutrimento e gli stimoli utili per lo sviluppo della propria consapevolezza.

 

Se tutto questo ha per voi un senso e avvertite anche voi la stessa necessità e urgenza di scambio, confronto e ascolto  contattatemi: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

NOTA: l'articolo nella sua collocazione originale nel sito dell'autore ha diversi collegamenti a diversi riferimenti che qui non sono presenti, chi volesse usufruire della completezza di tutto questo può collegarsi all'articolo nella sua posizione originale cliccando il link seguente: https://www.riflessioni.it/esperienze/meditazione-1.htm